lunedì

il mio dentro deve avere la tua forma

L'uomo nero (appunti di un'esplorazione)

Premessa:
L'uomo nero non è nero, è uno stato interiore.
Fatti:
fare l'amore con l'uomo nero.

L'uomo nero mi chiede di morderlo.
forte o piano?
forte.
L'uomo nero vuole le unghie nella pelle.
L'uomo nero non aspetta, infilza. Non cerca, prende.
L'uomo nero non toglie i vestiti, li strappa.
L'uomo nero è forte, sovrasta, i suoi muscoli pulsano, la sua spada si erge potente.
L'uomo nero è vorace, cerca uno sguardo vivo.
L'uomo nero schiaccia i seni tra le mani, mi mette le dita in bocca.
L'uomo nero è rapito dall'uragano.
L'uomo nero mi lascia essere donna nera.



mercoledì

fino a domani

lascio i polpastrelli a sognare la tua consistenza
la linea della pancia che indirizza il desiderio
il collo che s’allunga in attesa del mio bacio
i muscoli della braccia che sorreggono il corpo
gli occhi che si chiudono e il respiro che si placa e il labbro inferiore intrappolato tra i denti
e poi la forza dell’abbandono, l’impeto del piacere, il cuore più veloce.

martedì

Cantico (codice morse, l'inizio)

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lunedì

Cantico (appunti parte 3, del buio)

Parole come carezze audaci nella notte buia.
La schiena incisa dalla saliva, incisa.
Al piantarsi dell'ago il corpo si contorce, e si asciuga come al fuoco il sapore dei tuoi gesti.

E il tuo corpo potente, come sovrano, penetra il mio.
E sento i muscoli delle braccia aggrapparsi alle sbarre, e sento l'addome d'acciaio schiacciare la pancia di cotone.
E il gemito morde il timpano. E i corpi lottano. E i corpi si resistono. E i corpi si scontrano.
E il corpo, ormai monade, s'inarca, e le bocche spalancate si specchiano aspettando quell'instante.

mercoledì

cantico (parte 2 ex tempora)

Ho morso una foglia d’ulivo. Ho sentito l’amaro dei secoli trascorsi, sulla punta dei denti. E il sapore del vento, lo stormire dell’argento.
Ho morso una foglia d’ulivo nel bosco sulla collina. L’ho strappata al suo ramo, l’ho stretta tra i denti. La testa all’indietro, il tronco dappresso, la mente distante. Il corpo s’appoggia, la mano sugli occhi, la foglia metallo silente. Sassi nella schiena segnano lo stare, pezzi di bosco a infilzarsi nella pelle. Finalmente la mano s’allunga, s’infila, esplora la tana. E gli occhi vedono il sogno, cercano il corpo, rimangono chiusi. E la gamba destra sente forse l’osso del sogno piantarsi, il ramo del tronco assestarsi nel muscolo, e il vento diventa respiro, del sogno e del mondo, dentro l’orecchio, in mezzo ai capelli, ansima ai fiori. E la mano si fa spada sotto il tessuto, al riparo dal vero. E l’immagine del corpo si fa corpo, e la mano sinistra graffia e buca il terreno, e la mano destra diventa il tuo membro, e la bocca deforme morde forte la foglia, e il vento potente spinge all’amplesso, e la testa si volta a destra, di nascosto dal mondo. La schiena s’inarca, frutti nascenti tra i capelli, l’amaro si perde nella saliva, il membro ritorna scriba, le unghie sinistre nere di terra, le guance arrossate ai sussurri del vento. Sputo la foglia, ingoio la fine, scrollo le vesti, ravvivo i capelli, accarezzo l’ulivo. Mi manchi.

lunedì

Dicembre

Apro un vecchio diario, di un dicembre dimenticato:

L'inverno è fuori dal finestrino
il freddo anche dentro,
soprattutto nell'inutile umidità tra le dita, tra le gambe.

mercoledì

cantico (parte 1.:unicum ad libitum)


Mi appoggio all’orecchio e sussurro. Senza senso, solo suoni. Come respiri, linguaggio del corpo, e ringhi, linguaggio animale, e ansimi, linguaggio ribelle. Mi appoggio all’orecchio e lo bacio. Scocca il bacio e non sente più l’orecchio. Mordo il lobo e scendo al collo. Provo tra i denti a tirare la corta barba. Il collo s’allunga, guardi in su. Il pomo tra le labbra, la barba graffia il volto. La saliva umida si appoggia tra i fili, si stende al carezzare. Ti allungo ancora il collo elegante, lo stringo tra le dita, ti lascio respirare. Inarchi la schiena, le unghie si avvicinano. Spazio d’aria tra il letto e la colonna vertebrale, infilo una mano, la bocca è sul piccolo capezzolo. La pelle liscia della schiena cerca il selvaggio, i piccoli peli del petto sono morbidi, le tue mani nei miei capelli. Da destra a sinistra, poi giù. Le linee della pancia portano al pene. Pancia sembra la parola sbagliata. Si tratta di un quadro. si tratta di un telo teso sui muscoli. Le linee scendono come un imbuto. La bocca si stacca dal corpo, le dita seguono le linee. I tuoi occhi sono chiusi e il tuo corpo è aperto. Giaci spugna di attenzioni, ascolti l’attrito delle impronte digitali. Mordo il tuo fianco, la pancia si ritrae un istante. il respiro per un attimo diventa profondo. La lingua cerca il tuo sapore a sinistra. La bocca afferra la mano, i denti mordono l’indice, le labbra succhiano il dito. Il tuo respiro arriva come un’onda, gli occhi si aprono, cerchi il mio sesso. Il pene perfetto aspetta il suo turno. Invita all’ardore. Brama attenzione. Lo guardo pulsare, non faccio attendere di più. Mi piego gentile. Bagno il calore, il bacino si trattiene, ancora un istante, educato. Poi tutto reagisce. La mani tra i capelli, la bocca vorace, ondeggia il bacino, s’ingrossa il potere, s’affanna il respiro. Ingordigia sovrana, di sapori di piacere. Poi la bocca si stacca, si unisce alla bocca. Le lingue s’assaggiano, i corpi si uniscono. Scivola perfetta la spada nella vagina. Sente il corpo il piacere all’addentrarsi di ogni millimetro. Gioisce il vuoto riempito, festeggia la fame placata. Unicum ad libitum. È come una danza, come un massaggio, come una ricerca, come un addizione, come una catena una rete un nodo un sigillo. Come un incastro, come l’incastro degli incastri.

lunedì

capezzoli

capezzoli a ergersi come templi
al sussurro della saliva
al tuo respiro preghiera

capezzoli come frecce che puntano il soffitto
orgogliosi di piacere

e il tuo profilo nitido tra i seni
la dentatura perfetta si confonde nel bianco
la lingua umida suggerisce l'inafferrabile

giorni nel colore (parte 4)

Non siamo mascherati, non lo siamo a carnevale, non lo siamo in altri giorni.
Abbiamo tolto le maschere ben prima di conoscerci. A volte taci delle cose, ma se capisco che le taci basta un punto interrogativo e le stendi a prender aria.

Non siamo mascherati nemmeno l'altra sera quando andiamo alla festa in maschera. Circondati da cuochi e segretarie, da frati e soprattutto uomini vestiti da donne. Ma noi siamo lì, nelle nostre vesti, drink in mano, ennesimo drink in mano. Grande buonumore, profumo direi quasi di amore.

Mi presenti i tuoi amici, quasi li conosco da quanto me ne parli, ma la pelle è un'altra cosa, i geniali cinismi dal vivo anche. Non mi sento giudicata, piuttosto provocata. Assecondi le provocazioni perchè sai che mi piace, sai che mi ci butto, che sposto i limiti, che rilancio alzando il viso con gli occhi della sfida. Poi di colpo ti bacia. Così, davanti a me, lui ti bacia. E' più alto di te, alzi la testa, rispondi al suo bacio. Vedo il tuo profilo appoggiarsi alla sua guancia, immagino lo sfregamento della tua barba corta sulla sua barba cortissima, vedo le tue labbra sottili schiudersi, così le sue. Vi baciate davanti a me. Forse vedo lingue che si toccano, mani che trascinano una testa verso l’altra. Vorrei essere arrabbiata.

Vorrei essere arrabbiata perchè il pluralismo che teoricamente sostengo non prevede manifestazioni dal vivo. Ma non sono per niente arrabbiata, sento piuttosto una curiosità che parte dalle mie guance senza barba. Sento piuttosto un interesse sulla punta della lingua. Sento piuttosto una spinta verso il mezzo, come una freccia che vi punta e mi parte dal petto.

Arrivo in ritardo, il piede destro si stacca dal pavimento e il tuo viso si stacca dal tuo viso. E i vostri visi mi guardano, e senza pensarci, d’istinto lo guardo e dico: lui è mio. E arrossendo subito mi pento.

venerdì

Martedì di fine agosto

Stai per raggiungermi. Non posso crederci. Stranamente puntuale alle tre arriva il treno, scendi con la chitarra su una spalla, nelle mani una borsa, sul viso degli occhiali da sole fosforescenti. Anche stavolta il primo istante stento a riconoscerti. Ti avvicini e il tuo sorriso è stanco e raggiante. Hai dormito poco per paura di non alzarti, sei leggermente provato ma ti trovo in forma. Attraversiamo la calura padovana mano nella mano, mi baci docile e sensuale, mi regali qualche stentato complimento. Sai che poi non ci crederei. Mi piacerebbe comunque che fossi più generoso. Sei davvero qui. Dal primo istante tutto si confonde con il sogno. Siamo ancora senza tempo, circondati dalla nostra bolla, come sospesi in un epoca futura. Andiamo in albergo, un piccolo alberghetto in piena ristrutturazione. Sei qui, mi baci dolce e mi chiedi di fare l’amore, adesso subito. No, è meglio una doccia. Ci laviamo i capelli fino a quando, con gli occhi lacrimanti non facciamo l’amore. Brevi e scivolosi. Mi sei mancato. Profumato ti riservi mille cure, ti ami moltissimo. Camminiamo e parliamo. Non ero certa che saresti venuto. Si, sai sorprendermi, continuamente. Assomigli ad un diavolo. Io ad un angelo. Sfioriamo l’immortalità, sfidiamo sorridenti i pregiudizi, ci confrontiamo, iniziamo a conoscerci per quello che siamo. Io ti ho già mostrato i miei limiti. Anche tu. Siamo in zona neutra, non è la mia città né la tua, nel caldo ci lasciamo trasportare. Ci stendiamo speranzosi su un prato canadese che punge e irrita, il sole è al capolinea. Finalmente. Fumiamo un po’, chiacchieriamo ed io mi sento bene. Ho il viso più angelico che tu abbia mai visto, ancora i segni delle espressioni non si sono ossidati sulla pelle. Ho un viso ancora pronto per essere scritto, come i bambini. Ho paura che un giorno anche il mio viso sarà scritto dall’espressione seria di mio padre. Sorridiamo a quest’idea di cui spesso abuso, mi accarezzi la fronte, la distendi, e cancelli anche l’ultima ruga temporanea. Rivedo per un istante Margherita che spalmandosi l’unguento ringiovanisce e si tonifica. Sei il mio unguento, lo sai. Non voglio nasconderti nulla.

La chiesa è vuota, non arredata, sembra grande. Spiamo le dinamiche. Immaginiamo messe personalizzate in ogni arcata, ridiamo a quest’idea balorda. Ti ascolto con poca attenzione. È sorprendente il nostro comprenderci. Come un dono gratuito. Ci rispondiamo senza chiederci nulla, ci anticipiamo nelle azioni. È così facile starti vicino quando sei lucente. Il sogno si mescola e insinua nella realtà. Non so più di cosa parliamo, so che camminiamo. Per un lungo istante sono cupa, so che domani parti. Andiamo a mangiare dopo lunghe peripezie, siamo stanchi, felici, non ascoltiamo per davvero le indicazioni ma le ricordiamo inevitabilmente. Come se per noi l’indagare piccoli dettagli nelle persone fosse più utile che ascoltare le risposte alle nostre domande. Ci focalizziamo su particolari interessanti e concentriamo lì l’attenzione, ma il cervello immagazzina automatico anche la risposta alla domanda.
Entriamo titubanti e scegliamo cosa mangiare. Ordiniamo anche del vino. Chiediamo bicchieri speciali. Io bevo veloce. È un vino rosso, leggermente acidulo nel retrogusto, fruttato nell’odore e fresco tra il palato e la lingua. L’ilarità ci avvolge come una sorpresa primaverile. Siamo leggeri e complici. Finalmente. Dal vino passiamo al rum, dal tavolo a due sgabelli in zona abusiva. Chiaramente i tuoi consigli sul servizio sono giunti alle orecchie giuste, e così inizia il contatto con un mondo esterno buffo e liberatorio. Ti senti luce e inviti le persone ad aprirsi nei tuoi confronti, parliamo di nudisti, di vini, di regioni a statuto speciale, ascoltiamo aneddoti e ne creiamo di nuovi. L’atmosfera si fa ebbra e frizzante. Sto davvero bene. Il locale chiude nell’amicizia, come un’isola nascosta tra stradine italiane illuminate dall’umidità di pioggia e piccole lampade.  Stiamo vicini, barcollanti decidiamo di tornare in albergo.

La luce della stanza sembra indagare nelle nostre anime. Ci dichiariamo importanti l’uno per l’altra, mi chiami con un nome che non mi appartiene ma che ti è prezioso, parliamo d’amore universale, del nostro incontro, delle dipendenze da caffè, canne, alcol. Stiamo bene, ci apriamo e spogliamo come chi abbisogna di togliersi anche l’ultimo brandello di ipocrisia, come chi sa di non dover temere nessuna conseguenza. Come chi si battezza nel nome di una verità ebbra e inconcepibile alle persone comuni. Ci sentiamo tanto vicini da lasciarci scivolare l’uno nell’altra, e insieme nel sonno. Ti vorrei donna adesso, ti bacio e ti accarezzo, succhio i tuoi capezzoli e i tuoi gomiti, voglio farti stare bene. Ci addormentiamo mille volte risvegliandoci ogni istante con una nuova consapevolezza. Sogno di noi, di centri sociali, di conversazioni pericolose tra due dei miei mondi, di incontrare i tuoi mondi e sentirmi da alcuni derisa, da altri invidiata. Sei qui per me. Forse sei qui davvero.

Ci svegliamo alle otto, ci risvegliamo alle nove e mezza. Alle dieci inizi a prepararti. Alle undici lasciamo l’albergo per andare in stazione. Sto impazzendo per la meticolosità dei tuoi gesti. Ti radi e torni giovane e leggiadro, come quando ti ho conosciuto. Sono triste, stai per partire. Un caffè al volo. Mi tieni la mano. Fumiamo ancora. Sapore di pesca e mango. Persone e traffico. Semafori e stazione. Biglietti del treno, prenotazioni, sigarette da comprare. Ore undici e ventiquattro. Ci restano ventitré minuti. Parliamo? Ci baciamo? Mi vedi triste, un po’ lo sono. Ci scambiano tenerezze, come due amanti che lentamente si abituano a salutarsi. Ora so che mi vuoi bene. Capisco che c’è un qualcosa di intangibile che ci avvicina. Sento una nuova consapevolezza nascere dentro di me. Non riesco a definirla, ma la percepisco tersa, è come essere in armonia con le cose. Abbandonare le forzature. Le catene si rompono perché non sono più necessarie. La presenza diventa fattore privilegiato ma non necessario. Riesco finalmente a comprendere le tue parole. Tu ci sarai sempre, anche se distanti, ogni volta che c’incontreremo sarà come la prima volta, ma come se ci conoscessimo da sempre. Arriva il treno, mi stringi forte. Sali mentre le porte si chiudono.
Ti vedo attraverso il vetro, sei la mia meraviglia.
Stai partendo.
Per un istante brevissimo (così breve che nessuno riesce a coglierlo) il tempo si ferma, i rumori sbiadiscono, le voci si perdono nell’ovatta che ci circonda come nebbia.
Siamo solo io e te, uno di fronte all’altra con i contorni indefiniti, sospesi in una bolla smerigliata.
Le mie labbra ti sussurrano silenziose: “a presto”,
le tue sorridono arancio: “a prestissimo”.


lunedì

capitan uncino

Sembra già domani.
Il giorno della partenza.
Giaci a fianco del mio posto nel letto.
Mi piace pensarti lì, ad aspettarmi.

È come tu sentissi dove ticchettare.
Dove pulsare.
Dove fervere.
Dove palpitare e fremere.
Come se facessi del mio piacere il tuo piacere.

E il pene si staglia e col corpo si fa uncino.
Uncino che non strappa.

Sento ancora la barba sul viso. E tra le dita i capelli 0.2.
E la vena pulsante, a volte, sulla fronte.

venerdì

Non baciarmi! (ovvero la parte prima)

È strabiliante pensare che nel tecnologico,
post industriale e deforme ventunesimo secolo
due anime affini possano incontrarsi con tanta semplicità.

1.
Accecata dalle luci del locale non posso vedere i visi delle persone, ma mentre sto entrando, o forse uscendo, i tuoi occhi mi accarezzano mentre una birra bagna le tue labbra. Anche io accarezzo, per un solo istante. Ci riconosciamo subito, anime simili che abbisognano l’una dell’altra solo per qualche giorno, per sopravvivere alla realtà, per non dormire soli, per sentirsi unici al mondo. Il timer scatta subito, il nostro tempo è limitato, riparto un qualche dopodomani, sono qui da ieri, sono il fantasma di me stessa. Mi incuriosisco parlandoti, sei quello che vorrei essere, o forse anche tu sei il fantasma di te stesso. Chiacchieriamo tutta la notte come piccioni su un cornicione, ma sotto di noi anziché il vuoto un lago nero. Parliamo di profumi e di film, di vite e di sogni; mi avvicino e cerco un contatto con la mano, non mi espongo. Avvicini le tue dita alle mie labbra, le mordo gentile e il mio corpo è già pronto a concedersi.
2.
Camminiamo in una notte umida, fa freddo e la tua maglia non basta a scaldarmi. Parole che intrattengono, fingiamo di scoprirci. Attraversiamo la città offuscata, in cerca di un noi ci lasciamo cullare dalle nostre piccole infinite affinità. Camminiamo nel nero e facciamo molte scale, attorno il fumo della marijuana a renderci ebbri. Siamo su un parcheggio a più livelli, qui lo chiamano autosilo, per me è una parola nuova. Ci teniamo per mano quasi a non volerci lasciar scappare, ci ingarbugliamo nel piacere. Le luci iniziano a scoppiare quando siamo in stazione, mi porti in un bagno metallico accerchiato da giovani spacciatori, sono claustrofobica, salvami da qui, cattivi presagi, paura, scomodità. Esci veloce dal bagno, non ti accorgi di nulla. Hai smesso di percepirmi? Mi abbracci e mi trascini via.
3.
Siamo su una panchina rossa, mi accarezzi i capelli e il tuo tocco mi rasserena, blateriamo compromessi, poi mi baci quando non voglio. È un bacio troppo stretto, sono labbra sconosciute, è una lingua secca dal fumo e tagliuzzata, lingua inospitale. Non voglio più baciarti, ma accarezzami di più. Devo tornare in albergo, lasciami andare.
Torniamo nella terrazza-parcheggio e una distesa di tetti si perde nel lago scuro, ma le luci soffuse della città sotto di noi ci rendono intimi. Parliamo ancora, le tue parole mi inebriano più dei tuoi baci. Orgasmo intellettuale? Parliamo di abitudini, odi le pieghe nei tappeti e nelle tovaglie, io ho sviluppato dipendenza nel fare liste di cose. Ridiamo dolci, godiamo del momento che ci fa volare lenti e abbracciati sopra la città e sotto le stelle, dove le punte degli alberi possono solleticarci. Mi accorgo che guardarti mi soddisfa, sei bellissimo.
4.
Lavoro aspettandoti. Verrai? Arrivi deciso e inizio la pausa. Giochiamo con grandi scacchi, vuoi baciarmi, mi distrai, vinci la partita, il vento è dalla tua parte. Ore sotto un sole fresco, di giorno sei più reale, godo delle tue lusinghe. Arriva sera, mi porti su una spiaggietta, fumiamo insieme, suoni la chitarra, nascosta mi sciolgo alla tua voce, comunichiamo con la musica, rido, fumiamo ancora, mi seduci. I muscoli si rilassano e tentennano sensuali, il cuore è nella pancia. Mi accarezzi tutto il corpo, alla portata di tutti cerco di lasciarmi adorare. Con una mano stuzzichi il mio capezzolo sinistro mentre mi abbracci, con l’altra mano sfiori la pancia alternando i polpastrelli alle unghie da musico, scendi ai pantaloni, indugi prima di infilarti, mi guardi, sorridi. Quando la tua mano tocca il mio piacere diventi più selvaggio, mi vuoi subito, lì, incurante della gente. Mi sovrasti forte, provo a divincolarmi, sono troppo celebrale. Vinco io questa partita, ti siedi ironico e riprendi a suonare.
5.
Ti aspetto sulle scale, arrivi tiepido, mi doni un mazzolino di lavanda, temi che io ti dimentichi. Passeggiamo un po’, vuoi ballare ma non te lo concedo, ti ho già concesso fin troppo. Camminiamo senza nulla da dire questa volta, poi andiamo nel mio albergo. Scosti le tende ed apri le finestre, guardo fuori, sensuale mi circondi, mi rivolgi a te, alzi la tua maglia, prendi le mie mani e le usi per toglierla. Guardo il tuo ventre, piccola costellazione di nei, peli biondi, capezzoli perfetti. Mi togli la camicetta, poi il reggiseno, il fermacapelli, le scarpe, i calzini, i pantaloni, le mutande. In piedi lascio che tu faccia tutto ciò che vuoi. Io non faccio niente, ti rendo la vita difficile. Mi guardi spogliandoti, hai un pene lungo, liscio, diritto. Come amici abituali ci sdraiamo sul letto, apri le mie gambe, mi tocchi, avvicini il tuo viso ed inizi a baciarmi, a mordicchiarmi, a gustare il succo del mio piacere, ti aiuti con le mani fino a quando non gemo. Avvicini il tuo pene al mio viso, non voglio baciarti, voglio solo vivere il piacere che mi dai. Insisti con lo sguardo, cedo senza sforzo, con la lingua stuzzico il tuo glande, ti succhio delicata, lenta, smetto. Ti sdrai sopra di me, mi guardi e mi chiedi di fare l’amore. Non posso. Tu ti metti a giocare con i nostri sessi, senza entrare. Parliamo mentre all’entrata della mia vagina viscosa sento il tuo pene turgido, liscio, pronto, mentre a lato del letto la lavanda agisce nel ricordo. Cedo anche questa volta, ti voglio dentro, al diavolo il cervello.
6.
Mangiamo insieme, sono più rilassata, ora siamo di nuovo amici, la tensione sessuale è viva ma più gestibile. Inizio a conoscerti, sei pignolo e irriverente, adorabile. Voglio dormire con te, vederti sdraiato e nudo illuminato dalla luna, rilassato e liscio. Voglio augurarti la buonanotte e avvolgerti nel sogno. È da troppo tempo che non dormiamo. La tua stanza è ordinata, profumata. Dobbiamo fare piano. Ti spogli, mi spoglio, ci sdraiamo. Mi seduci ancora, bestia insaziabile. Cervello dimenticato al lago. Mi rilasso e godo del tuo corpo in movimento, ti guardo nell’orgasmo, viso indiavolato, esplosione violenta, respiro profondo, voglio lacerarmi di te e diventare con te un’onda suicida contro gli scogli. Mi pulisci dal tuo sperma, ti assaggi, ti piaci. Ancora qualche parola, la buonanotte, il buio, il profumo, i capelli lunghi. Come cucchiaini argentati ci abbandoniamo al sonno.
7.
Mi sveglio bellissima, più del sole. Occhi luminosi, riposati, labbra amabili. Scappo via felice, ripenso alla luna e alle tue parole eccitanti.
8.
Il timer ha quasi concluso il suo conto alla rovescia. Ci incontriamo ancora, blateriamo ancora, vuoi fare l’amore con me, non c’è due senza tre. Dove? Adesso? Poco tempo, zero chance. Andiamo in un’altra spiaggia più isolata, quasi nascosti guardiamo il lago, i palazzi. Prendi la mia mano e ti tocchi con essa, mi chiedi di baciarti, ti soddisfo, ti scruto e desidero, ti mangerei. Interruzioni umane ci donano complicità e risate. Le persone vanno dove non dovrebbero. Insomma, chiediamo solo un po’ di intimità! Ridiamo leggeri, mi adori. Devo partire. Sorrido dolceamara.
9.
Mi accompagni ai saluti. Mi tieni per mano, tocco il tuo sedere volentieri. Spose per le strade, conversazione ballerina. Mi mancherai? Mi massaggi di benessere. A presto? Certo, non c’è due senza tre! Sorrido ancora e scocca l’ora, mi baci semplice e tranquilli ci allontaniamo con un piccolo nuovo mondo dentro.


lunedì

¾ febbraio

Metto gli occhiali, togli gli occhiali. E viceversa.
La fiamma c’illumina forte e poi piano.
A volte anche al buio so che stai sorridendo.
Mi piace soprattutto quando ti sento crescere appoggiato.
Appoggiato al mio ginocchio mentre mi dai un bacio,
appoggiato alla mia pancia mentre mi abbracci in piedi,
appoggiato alla mia schiena mentre aspettiamo il dormire.

Mi piace quando sei dentro le mie orecchie.
Il tuo respiro è nelle orecchie,
le tue parole nelle orecchie,
la tua lingua nelle orecchie.
Tapperei l’orecchio con il sughero,
un sigillo. Per tenerti lì dentro.

domenica

giorni nell'amore (parte 1)

Le cimici fingono di registrare, la mente registra invece, a intermittenza, un sentimento a ogni cerchio del dito attorno all’orecchio. Una parola a ogni leggera pressione sul collo. Un fremito d’addome a ogni carezza sui capelli. Tu crei, sussurra una voce felice e sorpresa. Il braccio non fa male tra la mascella sinistra e la spalla, i respiri si mischiano. Carezze come tazze, nel dormiveglia che segue il piacere. Carezze come sussurri, nel pomeriggio senza tempo. Carezze confessioni nell’attimo della gioia.

E i respiri sono uno, e il movimento è uno, e l’incastro è perfetto e ogni incastro è ancora più perfetto