sabato

a volte ho la certezza che mi piacciono gli uomini

INFINITY - Extended Version from dean isidro on Vimeo.

la punta delle dita


Ti chiamo. Ti sveglio? No, mi stavo svegliando, rispondi assonnato. Ti parlo concreta. Vivo già da qualche ora oggi. Sento il tuo respiro. Mi chiedi di sdraiarmi e di toccarmi. Accetto la sfida, le amanti accettano tutto. Mi tocco lenta, ma tu vuoi i particolari. Non posso darteli. Cerchi il mio appoggio. Mi aspetti su un’onda. Vuoi farmi capire quanto mi vuoi. Parliamo. Non è vero. Tu respiri forte. Mi ecciti, sento un brivido e vedo tante immagini. Io assisto in silenzio allo spettacolo di me stessa riflesso in uno specchio, nella mente le nostre immagini passate. Sei sopra di me, mi penetri veloce e impalpabile, succhio affamata il tuo dito, ti avvicini con il viso e anche tu succhi vorace il tuo dito e la mia lingua, e le mie labbra. Mi turbo con estremo piacere al tuo respiro. Ti vorrei dentro ancora, ma solo perché respiri così. Solo perché sei liscio. Solo perché ti ho idealizzato. Mi chiedi come mi tocco, dove, cosa sento. Rispondo pacata, dare voce al piacere sola in una stanza mi è proprio difficile. Sono troppo celebrale in fondo. Il tuo respiro continua. Voglio che continui. Vedo il tuo toccarti, lo ricordo. Ti ho chiesto di toccarti anche al nostro primo incontro. Stringevi forte il tuo pene e variavi la velocità. Ti guardavo con gli occhi del desiderio. Lo percepivi. Magari anche adesso li percepisci nel mio silenzio. Sono curiosa di realizzare le tue fantasie, e le mie. Devo andare, da troppo siamo al telefono. Anche tu devi andare, sei in ritardo. Sento la tua voce cambiare e so che sul materasso il tuo piacere è esploso tiepido. Mi chiedi se questo mi basta per sentire che mi vuoi lì con te. Non lo so se basta, ma sei di certo invitante.

martedì

Dai diari

- 16 marzo B. è partito ieri. È rimasto dunque 16 giorni. Inutile forse dire che ci siamo amati e abbiamo litigato. Tutto come al solito e tutto come nuovo. Abbiamo fatto l’amore moltissimo, e ogni volta è stato così bello. Un pieno contatto tra noi, più profondo, più giocoso, così immensamente piacevole.
- 26 febbraio Ho finito La casa del sonno e iniziato Il ritorno di Casanova. Sono in treno, sto tornando a casa. Non ne ho voglia. Ho sentito B. si stava facendo il bagno. L’ho immaginato nudo, nel bagno della casa di sua madre, a lavarsi. Col pene che un po’ galleggia nell’acqua. 
- 30 giugno B. è qui da un mese. Non posso immaginarmi senza lui. Anche con lui sta diventando difficile. Forse fa solo troppo caldo.
- 7 novembre La città dorme, ed io sono sola, con gli occhi rossi, nella stanza che profuma di noi e di sonno inquieto. È ripartito. È ripartito. Ed io sento la canzone che poche ore fa ballavamo seminudi piangendo.

domenica

Tratto da: “Meno di ventiquattrore”

Ci sono giorni in cui tutto è degno di menzione.
Ritornò a casa dopo averlo accompagnato in stazione dei treni. Il letto ancora stropicciato dai loro corpi la fece sussultare, era davvero stato lì. Lì per lei.
Non riusciva a credere a questo amore sfumatura, le sembrava un sogno, una parentesi a cui si donava, come un dono a se stessa. Ogni loro incontro somigliava ad un viaggio, un viaggio nella memoria, senza consequenzialità, senza vere ragioni; l’inatteso diventava storia, i passati si sovrapponevano, e nella doppia, multipla esposizione, riusciva a riconoscere i bagliori di un germe ancestrale d’amore, l’embrione di una se stessa accantonata.
L’essenziale si trova tra le righe.
Non era successo nulla di stravagante, nulla di drammatico: un bacio, una cena al ristorante, treni carichi di parole, il fare un po’ l’amore, un bagno caldo, la visita al museo, brevi passeggiate sotto la neve con il cane, un punch aspettando i vagoni. Perché allora, ripensando al suo viso le tremavano le mani? Perché risentendo la sua voce si sentiva mancare? Perché immaginando un contatto chiudeva gli occhi e respirava più profondamente? L’amore! Potremo rispondere, ma a lei non piacerebbe questa risposta. La generale banalità dell’odio e dell’amore la fanno confondere quando sente sotto la propria pelle la forza di impulsi primordiali, un’unica grande forza che la spinge a cambiare la propria percezione del mondo. Si erano conosciuti una notte, anni prima, e la notte rimane l’elemento caratterizzante del suo sentire in una relazione in cui prevale l’essenza del sogno, in cui le ombre diventano personaggi a colori, in cui un bacio diventa una preghiera.
Nel ristorante lui l’aveva guardata e le aveva detto: “la nostra è la forma d’amore più grande, perché permette la libertà, perché non è ossessionata dal possesso, perché non chiede nulla, perché vive di sogni e piacere, non di necessità”. Si abbraccia di quelle parole, ora, mentre il sole illumina il tavolo su cui dormono i resti di una colazione incompiuta. Le dita picchiano sul tavolo, sfiorano altre dita, sentono una briciola abbandonata; si guarda intorno senza vedere, smette di chiedersi se vaga la pena tutta la fatica che si impone per gestirsi in questo amore, per non chiedere, per godere di speciali momenti -che lei stessa sceglie di rivestire d’oro- senza cadere nella trappola di un totale, cieco abbandono privo di indipendenza, nella trappola di un’acuta, quotidiana, umana tortura nel momento dell’assenza. Era arrivato, era partito.
Anche solo due frasi al giorno danno come risultato un libro.
Si vedevano due, a volte tre volte all’anno, troppo poco per costruire. Ogni volta si percepivano in modo diverso, ogni volta si riscoprivano. La cosa che più la sorprendeva era dire “ogni volta” quasi ad annusare la consapevolezza di una continuità sincera e non programmata; ne era lusingata, allo stesso tempo coartefice e questo la inebriava. Un film inedito, a puntate: un film d’amore? D’avventura? Un horror? Il vento universale soffia via le classificazioni, le classi, le dicotomie nette, e mischia i colori, imbratta gli animi d’energia e li gravida di brillantini. Ogni volta girano la clessidra dopo averla riempita di nuove emozioni, e sotto una pioggia caleidoscopica sempre nuova e casuale si abbracciano e punzecchiano, giocano ad innamorarsi e danzano senza vesti.
La sequenza è casuale, la memoria è priva di cronologia, possiede la simultaneità dei sogni.
Cade un piccolo getto freddo dal manubrio più alto della vasca da bagno, cade la marmitta di una macchina, cadono, lentamente, i cancelli che ha innalzato per proteggersi. Suona un telefono bugiardo mentre lui la indaga fumando seduto con le gambe accavallate, suona una musica ramdom mentre lo bacia avida, mentre lui le sussurra provocazioni, mentre i loro corpi si avvicinano; suonano i termosifoni non sfiatati mentre lui giace tiepido nell’acqua, suonano i loro respiri, suonano i loro corpi, i loro pensieri. La luna è scomparsa, le strade sono lucide di ghiaccio, è la prima volta che si vedono in inverno, la prima volta che i loro cappotti si sfregano, è la prima volta che camminando sulla neve si tengono per mano. La sua mente si stringe forte a quella pazza certezza che le sembra la realtà e guardando in alto si proietta nel cielo nero: un lunghissimo filo elastico risplende nel buio, esce dalla sua pancia, lì dove giace l’ombelico, sa che l’origine sta in lui, e parte dalla sua testa. Nel letto lo abbraccia, spiata dalla finestra pastello, vorrebbe proteggerlo da ogni stanchezza, da ogni freddo, gli sussurra sogni birichini e sente un calore sicuro, un calore famiglia; è una schiena che conosce, un profumo che le è dolce. È lo stesso amore che le dormiva a fianco l’ultima volta, e lo stesso della prima. Ipnotizzata da momenti che diventano onirici, scalza nel freddo del presente con il tiepido scialle di ieri attorno al collo.
Non è solo il ricordo a fare male, bensì –e forse maggiormente- lo sbiadirsi del ricordo.
Le sembra di averlo già dimenticato, lo ricorda a frammenti, ma non nel suo insieme: le orecchie arrossate dal freddo, le mani che frantumano il tabacco, la bocca che racconta concentrata, gli occhi vivi e stanchi insieme, la linea del collo morbida e pallida, i capezzoli turgidi ai suoi baci. Sa che lentamente subentrerà una distanza che nuovamente la riempirà di dubbi, di paure, di.
Non oggi però, oggi chiude gli occhi e abbatte le distanze, stinge forte il sogno nel suo stomaco, rivive la sua presenza e si tocca delicata, lo immagina guardarla, lo immagina toccarsi, lo immagina dentro sé, sente il suo respiro e lascia che come vento-nebbia di orgasmi quello stesso respiro la bagni, infastidisce con la lingua il suo petto e si lascia esplorare con gli occhi della passione. I muscoli del ventre si contraggono, il ritmo si fa più veloce, il contatto più fluido; un calore naturale s’irradia in tutto il suo corpo, parte dal bacino e le brucia i seni, le mani, i piedi, e si espande lento fino ad arrossarle il viso, e il canto del loro piacere s’innalza, e illumina terso il resto del mondo.

martedì

Pelle



Ci sono dei profumi che vengono usati come vestiti, occhiali come maschere, capelli che issati a corone fanno sentire re e abiti che diventano insostituibili, come pelle

lunedì

Concerto

..........

Tacheles, un attimo a sera, esco da una galleria, entro in un’altra. Sporco dappertutto, disegni dappertutto, persone che sbirciano, alcune in giacca e cravatta, portafoglio pieno, puzza sotto il naso. È per loro, a volte credo, che questo posto è così. In realtà è dedicato a queste persone, per farle sentire in bilico tra l’essere culturalmente attivi e aperti, e allo stesso tempo concedere loro istinti di superiorità e distanza. Entro da una parte, tra il ferro che si fonde, tra il fuoco che arde, esco dall’altra, tra bottiglie rotte e bicchieri di plastica che calpestati fanno un rumore indimenticabile. Torno in strada, sbircio a sinistra, un tunnel-entrata attira il mio sguardo, qualcuno attacca un poster sulla porta. Quel qualcuno ha capelli lunghi che solleticano, coprono, tagliano una schiena in forma. Attacca il poster del concerto serale.
Un soffio di vento muove la porta d’entrata,
il poster si stacca nel lato alto e sinistro,
quello stesso soffio mi entra nell’orecchio, suggerisce d’entrare.
Mi avvicino all’angolo sinistro, lo alzo e appoggio nuovamente alla porta, non si vuole attaccare. “…” respira qualcuno vicino al mio braccio “It fell down” rispondo di gola.
La mano s’intreccia il poster s’incolla.
“I tried to hang it but it doesn’t wanna stay” ripeto in silenzio. “oh, thank you” sento di striscio, e so che i capelli così lunghi già bevono il mio profumo, “you're welcome” dico, finalmente cercando con le ciglia di accarezzare occhi sconosciuti.
Rughe d’invisibile sole,
pelle rovinata dal soffio del vento,
cespugli di vite come capelli.
Jeans sporchi, unghie forse anche, felpa aperta, braccia senza peli, barba forse solo un po’.
Ciglia dentro gli occhi, mani legate dallo scotch, voci a ingarbugliarsi nella sera – a risuonare nelle orecchie – ritmiche come mantra, dolci come vino.
Con le labbra si avvicina alla guancia, labbra umide e sottili, odore dell’ultima sigaretta a primeggiare (un odore romantico, nostalgico, un odore che porta con sé il ricordo di momenti bellissimi), odore di vizio dimenticato e improvvisamente tornato a pulsare a furia di baci.
Saliva che si attacca sulla pelle,
mani che si appiccicano ai fianchi.
Reciprocità appena palpabili.
Unghie sulla schiena, concorrenza ai graffi dei capelli di rafia.
Voci nelle orecchie,
e voci nell’ombelico,
e voci nella bocca,
tra le dita delle mani,
lì dove non si osa.
Voci dal basso, odore di sigarette, sapore di liquirizia. Tocco la nuca e tiro i capelli dalla radice, bocca semiaperta, da bagnare fuori e dentro, da raschiare con i denti. Denti contro denti, solo ogni tanto. Dita che esplorano veloci, forti - di qualcuno, unghie che graffiano e mani che si aggrappano - le mie. Mura fatte di tatuaggi, e freddo a intermittenza sulla schiena, solo nella spiaggia sopra il mare, solo quando la maglia scivola via, trascina via, si strappa via, ritmica. Non barba che un po’ riga la piega del collo, rafia che un po’ graffia gote arrossate.
La testa volge al cielo-soffitto.
Gli occhi rimangono chiusi.
La bocca rimane in attesa.
Mano destra che stringe il seno destro, gamba sinistra che trascina verso me, gamba destra perno del mondo, e mano sinistra appoggio esistenziale. Incroci necessariamente acrobatici. Due corpi un gomitolo, rumori preconcerto dietro la mia testa appoggiata.
Musica attutita,
ossa contro carne,
carne contro muro,
batterie fuori e dentro,
ventre che rimbalza,
ventre che scivola.
Sapori.
Divento saliva e sperma.
Diventa saliva e sudore.
Accolgo la fronte sulla spalla,
penzolii.
La mia testa appesa al muro, tatuaggio ormai stampato sulla schiena.
Qualcuno si veste veloce nella stanza dietro alla porta, io mi vesto veloce nella stessa stanza. La folla acclama, la folla pretende, è pronta. Mi mordo un labbro mentre qualcuno si volta e sorride, s’allontana, di nuovo s’avvicina, assaggia il lobo caramella e sussurra: “the first song is for you”.
Raccolgo la borsa, richiudo la porta. Il poster strappato mi guarda soddisfatto.

domenica

Considerazioni sulla sofferenza.

La sofferenza grandissima che prova non è maggiore di quella altrui, ma forse neanche minore.
È il risultato di una solitudine che deriva da una non accettazione del sé, e ricerca di questa accettazione negli atteggiamenti e negli occhi altrui. Come se gli altri e il loro incondizionato amore potesse essere la soluzione. Ma è evidente che sovraccaricare ognuno con la ricerca della soddisfazioni dei propri bisogni bulimici non è la soluzione, ma solo la perpetuazione di un cerchio che si ripete inevitabilmente e inesorabilmente con l’allontanamento spontaneo della persona cura o con l’allontanamento voluto in quanto la persona stessa non può essere, fingersi o plasmarsi soluzione del problema.

sabato

Dentro - Fuori

Riflessione 1.

Dentro e fuori sempre più si confondono e mischiano. Guardo fuori e vedo dentro, spio dentro e vedo oltre, specchi, vetri, giochi di luce, notte e giorno. Mi piacciono i palazzi alti, le finestre affiancate, le scale sporche e arrugginite.