mercoledì

cantico (parte 2 ex tempora)

Ho morso una foglia d’ulivo. Ho sentito l’amaro dei secoli trascorsi, sulla punta dei denti. E il sapore del vento, lo stormire dell’argento.
Ho morso una foglia d’ulivo nel bosco sulla collina. L’ho strappata al suo ramo, l’ho stretta tra i denti. La testa all’indietro, il tronco dappresso, la mente distante. Il corpo s’appoggia, la mano sugli occhi, la foglia metallo silente. Sassi nella schiena segnano lo stare, pezzi di bosco a infilzarsi nella pelle. Finalmente la mano s’allunga, s’infila, esplora la tana. E gli occhi vedono il sogno, cercano il corpo, rimangono chiusi. E la gamba destra sente forse l’osso del sogno piantarsi, il ramo del tronco assestarsi nel muscolo, e il vento diventa respiro, del sogno e del mondo, dentro l’orecchio, in mezzo ai capelli, ansima ai fiori. E la mano si fa spada sotto il tessuto, al riparo dal vero. E l’immagine del corpo si fa corpo, e la mano sinistra graffia e buca il terreno, e la mano destra diventa il tuo membro, e la bocca deforme morde forte la foglia, e il vento potente spinge all’amplesso, e la testa si volta a destra, di nascosto dal mondo. La schiena s’inarca, frutti nascenti tra i capelli, l’amaro si perde nella saliva, il membro ritorna scriba, le unghie sinistre nere di terra, le guance arrossate ai sussurri del vento. Sputo la foglia, ingoio la fine, scrollo le vesti, ravvivo i capelli, accarezzo l’ulivo. Mi manchi.

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