venerdì

Martedì di fine agosto

Stai per raggiungermi. Non posso crederci. Stranamente puntuale alle tre arriva il treno, scendi con la chitarra su una spalla, nelle mani una borsa, sul viso degli occhiali da sole fosforescenti. Anche stavolta il primo istante stento a riconoscerti. Ti avvicini e il tuo sorriso è stanco e raggiante. Hai dormito poco per paura di non alzarti, sei leggermente provato ma ti trovo in forma. Attraversiamo la calura padovana mano nella mano, mi baci docile e sensuale, mi regali qualche stentato complimento. Sai che poi non ci crederei. Mi piacerebbe comunque che fossi più generoso. Sei davvero qui. Dal primo istante tutto si confonde con il sogno. Siamo ancora senza tempo, circondati dalla nostra bolla, come sospesi in un epoca futura. Andiamo in albergo, un piccolo alberghetto in piena ristrutturazione. Sei qui, mi baci dolce e mi chiedi di fare l’amore, adesso subito. No, è meglio una doccia. Ci laviamo i capelli fino a quando, con gli occhi lacrimanti non facciamo l’amore. Brevi e scivolosi. Mi sei mancato. Profumato ti riservi mille cure, ti ami moltissimo. Camminiamo e parliamo. Non ero certa che saresti venuto. Si, sai sorprendermi, continuamente. Assomigli ad un diavolo. Io ad un angelo. Sfioriamo l’immortalità, sfidiamo sorridenti i pregiudizi, ci confrontiamo, iniziamo a conoscerci per quello che siamo. Io ti ho già mostrato i miei limiti. Anche tu. Siamo in zona neutra, non è la mia città né la tua, nel caldo ci lasciamo trasportare. Ci stendiamo speranzosi su un prato canadese che punge e irrita, il sole è al capolinea. Finalmente. Fumiamo un po’, chiacchieriamo ed io mi sento bene. Ho il viso più angelico che tu abbia mai visto, ancora i segni delle espressioni non si sono ossidati sulla pelle. Ho un viso ancora pronto per essere scritto, come i bambini. Ho paura che un giorno anche il mio viso sarà scritto dall’espressione seria di mio padre. Sorridiamo a quest’idea di cui spesso abuso, mi accarezzi la fronte, la distendi, e cancelli anche l’ultima ruga temporanea. Rivedo per un istante Margherita che spalmandosi l’unguento ringiovanisce e si tonifica. Sei il mio unguento, lo sai. Non voglio nasconderti nulla.

La chiesa è vuota, non arredata, sembra grande. Spiamo le dinamiche. Immaginiamo messe personalizzate in ogni arcata, ridiamo a quest’idea balorda. Ti ascolto con poca attenzione. È sorprendente il nostro comprenderci. Come un dono gratuito. Ci rispondiamo senza chiederci nulla, ci anticipiamo nelle azioni. È così facile starti vicino quando sei lucente. Il sogno si mescola e insinua nella realtà. Non so più di cosa parliamo, so che camminiamo. Per un lungo istante sono cupa, so che domani parti. Andiamo a mangiare dopo lunghe peripezie, siamo stanchi, felici, non ascoltiamo per davvero le indicazioni ma le ricordiamo inevitabilmente. Come se per noi l’indagare piccoli dettagli nelle persone fosse più utile che ascoltare le risposte alle nostre domande. Ci focalizziamo su particolari interessanti e concentriamo lì l’attenzione, ma il cervello immagazzina automatico anche la risposta alla domanda.
Entriamo titubanti e scegliamo cosa mangiare. Ordiniamo anche del vino. Chiediamo bicchieri speciali. Io bevo veloce. È un vino rosso, leggermente acidulo nel retrogusto, fruttato nell’odore e fresco tra il palato e la lingua. L’ilarità ci avvolge come una sorpresa primaverile. Siamo leggeri e complici. Finalmente. Dal vino passiamo al rum, dal tavolo a due sgabelli in zona abusiva. Chiaramente i tuoi consigli sul servizio sono giunti alle orecchie giuste, e così inizia il contatto con un mondo esterno buffo e liberatorio. Ti senti luce e inviti le persone ad aprirsi nei tuoi confronti, parliamo di nudisti, di vini, di regioni a statuto speciale, ascoltiamo aneddoti e ne creiamo di nuovi. L’atmosfera si fa ebbra e frizzante. Sto davvero bene. Il locale chiude nell’amicizia, come un’isola nascosta tra stradine italiane illuminate dall’umidità di pioggia e piccole lampade.  Stiamo vicini, barcollanti decidiamo di tornare in albergo.

La luce della stanza sembra indagare nelle nostre anime. Ci dichiariamo importanti l’uno per l’altra, mi chiami con un nome che non mi appartiene ma che ti è prezioso, parliamo d’amore universale, del nostro incontro, delle dipendenze da caffè, canne, alcol. Stiamo bene, ci apriamo e spogliamo come chi abbisogna di togliersi anche l’ultimo brandello di ipocrisia, come chi sa di non dover temere nessuna conseguenza. Come chi si battezza nel nome di una verità ebbra e inconcepibile alle persone comuni. Ci sentiamo tanto vicini da lasciarci scivolare l’uno nell’altra, e insieme nel sonno. Ti vorrei donna adesso, ti bacio e ti accarezzo, succhio i tuoi capezzoli e i tuoi gomiti, voglio farti stare bene. Ci addormentiamo mille volte risvegliandoci ogni istante con una nuova consapevolezza. Sogno di noi, di centri sociali, di conversazioni pericolose tra due dei miei mondi, di incontrare i tuoi mondi e sentirmi da alcuni derisa, da altri invidiata. Sei qui per me. Forse sei qui davvero.

Ci svegliamo alle otto, ci risvegliamo alle nove e mezza. Alle dieci inizi a prepararti. Alle undici lasciamo l’albergo per andare in stazione. Sto impazzendo per la meticolosità dei tuoi gesti. Ti radi e torni giovane e leggiadro, come quando ti ho conosciuto. Sono triste, stai per partire. Un caffè al volo. Mi tieni la mano. Fumiamo ancora. Sapore di pesca e mango. Persone e traffico. Semafori e stazione. Biglietti del treno, prenotazioni, sigarette da comprare. Ore undici e ventiquattro. Ci restano ventitré minuti. Parliamo? Ci baciamo? Mi vedi triste, un po’ lo sono. Ci scambiano tenerezze, come due amanti che lentamente si abituano a salutarsi. Ora so che mi vuoi bene. Capisco che c’è un qualcosa di intangibile che ci avvicina. Sento una nuova consapevolezza nascere dentro di me. Non riesco a definirla, ma la percepisco tersa, è come essere in armonia con le cose. Abbandonare le forzature. Le catene si rompono perché non sono più necessarie. La presenza diventa fattore privilegiato ma non necessario. Riesco finalmente a comprendere le tue parole. Tu ci sarai sempre, anche se distanti, ogni volta che c’incontreremo sarà come la prima volta, ma come se ci conoscessimo da sempre. Arriva il treno, mi stringi forte. Sali mentre le porte si chiudono.
Ti vedo attraverso il vetro, sei la mia meraviglia.
Stai partendo.
Per un istante brevissimo (così breve che nessuno riesce a coglierlo) il tempo si ferma, i rumori sbiadiscono, le voci si perdono nell’ovatta che ci circonda come nebbia.
Siamo solo io e te, uno di fronte all’altra con i contorni indefiniti, sospesi in una bolla smerigliata.
Le mie labbra ti sussurrano silenziose: “a presto”,
le tue sorridono arancio: “a prestissimo”.


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